Quattro chiacchiere con gli scrittori: Duccio Fontani e il suo libro "Le imprevedibili traiettorie della vita. Storie di calcio"



     Questa domenica tornano, nuovamente, gli articoli di approfondimento sul blog Culturalmente Sport. Oggi in particolare, torna la "rubrica" denominata "Quattro chiacchiere con gli scrittori", con cui vi racconto, attraverso la voce degli autori, i loro libri e racconti che trattano di argomenti sportivi e che reputo particolarmente interessanti. 

    Oggi vi parlo del curatore della pagina Instagram "I poeti del Fútbol", oltre che scrittore, Duccio Fontani, che ho avuto il piacere di intervistare negli scorsi giorni e che recentemente ha pubblicato, con l'editore Caosfera Edizioni, il libro intitolato "Le imprevedibili traiettorie della vita. Storie di calcio".

    In questo libro Fontani ci racconta la sua passione per il calcio e per il pensiero filosofico attraverso nove storie di calciatori e aneddoti calcistici spesso poco conosciuti. Vengono così riportati alla luce dei racconti vita, legati a doppio filo al mondo del pallone e intrecciati con diversi mondi, nei quali i protagonisti sono prima di tutto esseri umani con i loro sogni, le loro aspirazioni e i loro fallimenti. 

     Ho scelto di porre a Duccio, che ringrazio per l'infinita disponibilità, 7 domande che potessero descrivere al meglio il suo ultimo libro, ma anche la sua passione per la scrittura e per il calcio, oltre che per la cultura e la filosofia.

Qui di seguito vi propongo l'intervista completa. 

1) Per iniziare raccontaci brevemente un po' di te e della tua passione per la scrittura e lo sport, in particolare per il calcio latino e sudamericano, sfociata poi nella creazione della pagina "I poeti del Fútbol".

"Prima di tutto ti ringrazio per la disponibilità e per avermi offerto questo spazio di condivisione. Mi chiamo Duccio Fontani, sono il creatore e curatore della pagina Instagram “I Poeti del Fútbol”, e recentemente ho pubblicato un libro edito da Caosfera, dal titolo “Le imprevedibili traiettorie della vita”. Diciamo che la passione per il calcio è un piccolo vizio di famiglia visto che si tramanda di generazione in generazione, mentre quella per la scrittura nasce dal mio percorso di studi. In teoria sarei un filosofo, in pratica poi nella vita faccio tutt’altro."

"L’amore per il calcio sudamericano, invece, nasce da ragazzino quando guardavo il programma dedicato al calcio sudamericano su Sportitalia. Andavo alle medie e mangiavo da mia nonna, anche lei grandissima fanatica di calcio, e insieme guardavamo su una televisione a tubo catodico quell’angolo dedicato al Sudamerica. Ma al Sudamerica sono legato anche per motivi letterari, i miei scrittori preferiti provengono da lì: Osvaldo Soriano, Osvaldo Bayer, Jorge Luis Borges, Eduardo Galeano, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Antonio Skármeta, Roberto Bolaño, Roberto Arlt e chi mi più ne ha più ne metta. In particolare, sono molto legato all’Argentina, spero un giorno di andarci."

2) Parlando, invece, del tuo libro, cioè "Le imprevedibili traiettorie della vita. Storie di calcio", quale è stata l'idea di base dalle quale sei partito per raccontare queste storie sportive così particolari ma anche molto affascinanti?

"Il libro nasce con una traiettoria imprevedibile in tutti i sensi, ad aprile dell'anno scorso. Avevo pubblicato sulla pagina Instagram un post dove parlavo della maledizione che aveva colpito il Derby County. Perché alla fine dell’Ottocento il Derby si trasferì al Baseball Ground, ma vicino allo stadio, soggiornavano dei nomadi che vennero scacciati. I nomadi lanciarono una maledizione: la squadra non avrebbe conquistato nemmeno un trofeo. E il Derby perse tre finali consecutive di FA Cup. Jacopo dalla Palma, che è il vero demiurgo del libro ed è il direttore della collana sportiva della casa editrice, ha letto questo post è rimasto affascinato dal mio modo raccontare le storie e mi ha chiesto se avessi voglia di scrivere un libro. Il libro nasce da qui e segue la falsariga della pagina, perché nel libro ci sono storie di calciatori sconosciuti o semisconosciuti a cui ho cercato di donare, regalare un po’ di dignità. Ma questo perché mi piace creare un qualcosa di unico che non sia la fotocopia di un qualcosa di già esistente. Di solito oggi quando parliamo di calcio siamo costretti a risentire sempre le stesse storie masticate e rimasticate o polemiche sterili e inutili. Ho deciso allora di creare un mio piccolo spazio totalmente diverso".

3) Come nascono, quindi, queste storie che parlano di diverse storie di calciatori e aneddoti calcistici spesso poco conosciute?

"Il libro è un percorso a 360 gradi che cerca di mostrare quanto il calcio sia ramificato in ogni angolo del globo. Si parte con la storia del primo calciatore indiano a giocare (esclusivamente a piedi nudi) in Europa e si termina con il racconto di João Azevedo, storico portiere dello Sporting Lisbona degli anni Trenta e Quaranta, che passò da celebrità indiscussa a fugace ricordo. Nel mezzo c’è un racconto sconosciuto su Ronaldo “il Fenomeno”, su una squadra inglese che chiamò un ipnotista per risolvere una stagione fallimentare, sul tifoso del West Ham che fu spacciato per un giocatore bulgaro e esordì in una partita amichevole con la squadra del cuore, su Rinaldo Martino, argentino dal talento cristallino, che segnò il famosissimo “gol dell’America”, su una squadra di dilettanti che sconfisse i Rangers in coppa di Scozia e, infine, un capitolo dedicato interamente alle maledizioni e alle scaramanzie nel calcio."

"Tranne che in qualche racconto, come ti dicevo prima, ho sempre cercato di riportare alla luce storie di calciatori sconosciuti o che erano finiti nel dimenticatoio. Si tratta di persone realmente esiste solo che nei racconti la realtà si intreccia con la fantasia; quindi, compaiono dei personaggi fittizi inventati da me o alcune parti sono inventate, ovviamente in maniera sensata, cerco così sempre di dare una conclusione felice ai racconti. Questo l’ho fatto principalmente per due motivi: uno di necessità, uno perché è dovuto alle letture di quel periodo. Spesso le informazioni a disposizione erano estremamente ridotte. Spesso si trattava di piccoli articoli di dieci righe e quindi per necessità dovevo allungare il racconto, oppure perché anche nei testi più precisi e dettagliati, mancavano dei punti, c’erano degli spazi vuoti. Il secondo motivo è perché in quel periodo leggevo molto Jorge Luis Borges. Non voglio parlare più di tanto di Borges perché sennò finiamo tra un mese, ma in questo scrittore c’è la presenza di elementi fantastici, magici, o meglio soprannaturali all’interno di un realismo che ha a che fare con la vita. Si potrebbe dire che quello che emerge in Borges è l’elemento irrazionale, non razionalmente spiegabile della vita, il non compreso. Nei miei racconti non ci sono elementi per così dire estremamente magici, ma c’è quell’idea di poter utilizzare la letteratura per dare spazio alla propria immaginazione, per giocare, perché in fondo la letteratura è questo, un giocare a carte senza avere delle regole fisse."

4) Come ci descriveresti quindi il tuo libro? Su quali aspetti sportivi, ma anche umani e sentimentali ti sei soffermato di più?

"Nel libro c’è tanto Soriano, perché il calcio si intreccia in maniera profonda con la vita. Per Soriano su quel rettangolo verde va in scena l’imprevedibile dramma della vita, ma soprattutto questo aurltore non racconta mai le gesta di grandi campioni, anzi al contrario, tende a parlare di antieroi, derelitti che cercano la redenzione, il riscatto di una vita sciagurata tramite il pallone. C’è quindi l’idea che il calcio non sia un semplice gioco dove ventidue "scemi" corrono in mutande. Nel calcio c’è un qualcosa di più, c’è un qualcosa sottotraccia, un qualcosa di nascosto che deve essere riportato alla luce, alla vita."

"Dentro questo libro, quindi, ci sono personaggi con i loro sogni, le loro delusioni, le loro aspirazioni e i loro fallimenti. Abitano un mondo e cercano di trovare un senso ultimo, come facciamo tutti noi, e il calcio può fornire un aiuto prezioso. Il calcio è anche qui un dispositivo per riflettere sul tempo e sulla vita. Ma soprattutto un calcio più umano, che è una fabbrica infinita di storie che ci fanno emozionare e riflettere."

"Anche l’immagine di copertina non è stata scelta a caso. È stata scattata nelle salinas grandes a Junin, in Argentina, e siamo a 3500 metri sopra il livello del mare. Il fotografo una volta arrivato lì non riusciva a respirare, l'aria era pesante. Però trova dei ragazzi che giocano a pallone, abituati a quelle alture e che si stanno divertendo. È certamente un’immagine molto rozza, molto semplice, la porta, per esempio, è stata fatta con dei trabiccoli di legno, ma dietro questa foto così scarna, così rozza si nasconde l'essenza del calcio, una purezza incredibile. Perché per giocare a calcio basta un semplice pallone, non serve altro, basta veramente un semplice pallone. Non esiste un altro sport così se ci si pensa bene, basta un pallone che a volte non è necessariamente di cuoio ma può essere fatto anche di stracci. Ci possiamo veramente guadagnare quel piccolo angolo di paradiso con un semplice pallone. Questa immagine ci restituisce anche un calcio semplice, pulito, non contaminato, lontano dai meccanismi economici, dalla corruzione e dal nero di oggi."

5) Hai qualche aneddoto o episodio divertente o particolare che vuoi raccontarci legato alla scrittura di questa raccolta di storie?

"Diciamo che spesso alcune intuizioni arrivano in momenti inaspettati oppure grazie a consigli di amici. Ci sono racconti che sono stati scritti in vacanza mentre ero in spiaggia. Mi portavo il computer dietro, perché se mi veniva in mente qualcosa avevo bisogno di appuntarmelo al volo. L’ultima storia poi è nata grazie a qualche goccio di alcool di troppo e un mio caro amico mi ha suggerito di scriverla in prima persona."

"Probabilmente, però, l’aneddoto più divertente riguarda la storia di Tittyshev, il tifoso del West Ham che si ritrovò a esordire in un’amichevole con gli “Hammers” in maniera del tutto casuale. Flavio, un mio amico, ha avuto modo di conoscere Sandro Mazzola e gli ha regalato una copia del libro. Un giorno proprio Flavio mi manda video con Sandro che mi fa i complimenti e mi dice che si è innamorato della storia di Tittyshev. Ho così scambiato quattro chiacchiere con lui, ero molto emozionato, ma ho scoperto che Mazzola è veramente una persona splendida e alla mano. Il mio amico dopo qualche settimana è passato di nuovo a trovarlo e ha visto che Mazzola sul comodino aveva il libro tenuto ben saldo da un segnalibro. In poche parole, Mazzola stava leggendo il mio libro: insomma se un calciatore di una caratura del genere legge il tuo libro, direi che si può parlare tranquillamente di una vittoria all’ultimo minuto. A Flavio, infatti, ho detto: “Direi che sono a posto così, per me questo è già un successo incredibile”.

6) La tua pagina spesso si sofferma e racconta storie e aneddoti calcistici legati a doppio filo al calcio latino e sudamericano, giusto? Quali differenze pensi ci siano tra questi modi di interpretare il calcio e quello italiano o europeo? Hai mai assistito ad una partita di calcio oltre Atlantico? 

"Si, nella pagina c’è tanto ma tanto Sudamerica. Qui il calcio viene vissuto in maniera differente ma perché, come dire, ha anche uno statuto differente: ha un ruolo sociale, culturale e anche identitario. Lì c'è una continua fabbrica di storie calcistiche ed il gioco del pallone è circondato da un’aura di magia, di misticismo. Il calcio ha, quindi, una buona dose di realismo magico e si intreccia davvero tanto con la vita, tanto da essere spesso legato alla redenzione, al riscatto."

"Ho avuto modo di conoscere e fare amicizia tramite la pagina con dei ragazzi argentini e, veramente, qualcuno ti racconta delle storie incredibili: c’è chi ha abbandonato tutto per seguire la propria squadra, c’è chi veramente vive il calcio come una religione. Spesso mi mandano i video di quando sono allo stadio e sembra di assistere a un concerto: ci trovi qualunque tipo di strumento a suonare. Probabilmente il calcio in Europa, almeno oggi, viene vissuto in maniera più schematica, come dire è quasi istituzionalizzato, mi verrebbe da dire "scientizzato". Il calcio, però, per me, deve essere prima di tutto divertimento, imprevedibilità, genialità, intuizione. Come diceva il buon Soriano: "il calcio è pensare con i piedi". Ecco forse in Sudamerica è rimasto ancora qualche residuo di un calcio meno dogmatico e più imprevedibile. C’è poi il problema che anche il calcio è stato inglobato dalla logica della mercificazione e ormai è diventato un prodotto da vendere e non più da guardare. Però,insomma, io la penso come Osvaldo Bayer:" il calcio rimarrà sempre lo sport dei ribelli". In ogni caso mi sono accorto che se si comincia a scavare a fondo si possono trovare un sacco di storie interessanti legate anche al calcio europeo e il mio piccolo lavoro ne è un po’ la riprova."

"No, non sono mai stato in Sudamerica a vedere una partita, ma spero prima o poi di andarci. Il mio sogno nel cassetto è andare a vedere il Newell’s Old Boys al Coloso, perché è la squadra per cui tifo in Sudamerica e per cui provo un grande affetto. Ho fatto amicizia con dei ragazzi che abitano a Rosario e mi hanno detto più volte che sono disposti a ospitarmi. Direi che ci sono delle buone basi per poter organizzare il prossimo viaggio!"

7) Progetti futuri? Sempre legati a qualche racconto sportivo o al mondo dello sport in generale? Se puoi e vuoi dircelo naturalmente.

"Questa è sicuramente la domanda più complicata e ho difficoltà a darti una risposta precisa, perché sono una persona molto pigra e calma, che non fa grandi progetti e vive alla giornata. Di solito aspetto che scatti qualcosa all’improvviso e allora poi riesco a partire. Anche quando devo pubblicare i post, non faccio nessuna programmazione: di solito mi capita di scorrere delle vecchie foto con i calciatori e cerco di farmi prendere dall’ispirazione e allora butto giù qualcosa. Nello scrivere, però, sono molto lento: leggo e rileggo, taglio e cucio, cancello e aggiungo, prima di pubblicare qualcosa mi ci vuole un po’ di tempo. Per questo non mi definisco uno scrittore, sono solo un semplice apprendista, ma di base credo che uno scrittore non sia altro che un artigiano delle parole che martella senza sosta nella sua bottega. Sicuramente continuerò a pubblicare contenuti sulla pagina, cercando sempre di riportare alla luce storie e aneddoti calcistici sconosciuti. Jacopo, ha già in mente il progetto per il secondo libro. Ma io per il momento ho deciso di fare come Spalletti: mi prendo un anno sabbatico e poi se ne riparla."

    Ringrazio ancora una volta Duccio per la sua grande disponibilità e simpatia. Gli auguro, poi, un grande in bocca al lupo per il suo libro e per i suoi prossimi lavori, nella speranza che anche in futuro potremmo ritrovarci a parlare nuovamente di sport, cultura e filosofia.

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