Quattro chiacchiere con gli scrittori: Simone Galdi e il suo libro "Wembley 1992. Il Doria e l'ultima Coppa dei Campioni"

   Questo lunedì tornano gli articoli di approfondimento sul blog Culturalmente Sport. Oggi in particolare vi ripropongo, finalmente e nuovamente, una "rubrica" a cui tengo molto e che già in passato vi ha tenuto compagnia diverse volte. Si tratta di "Quattro chiacchiere con gli scrittori", con cui voglio raccontare, attraverso la voce degli autori, i loro libri e racconti che trattano di argomenti sportivi e che reputo particolarmente interessanti. 

    Oggi vi parlo del giornalista sportivo di Sky Sport e scrittore Simone Galdi, che ho avuto il piacere di intervistare negli scorsi giorni e che recentemente ha pubblicato, con l'editore Battaglia Edizioni, il libro intitolato "Wembley 1992. Il Doria e l'ultima Coppa dei Campioni". Continua, quindi, la nostra collaborazione con l'editore imolese che Culturalmente Sport vuole ringraziare, ancora una volta, per questa ennesima opportunità fornitaci. 

    Tornando al libro, questo è un interessantissimo racconto in cui il Galdi tifoso sampdoriano ci narra, attraverso un viaggio fatto di ricordi, aneddoti, emozioni ed interviste la fantastica cavalcata dell'UC Sampdoria nella "vecchia" Coppa dei Campioni 1991-1992, l'ultima edizione con il "vecchio" nome e formato, culminata poi nella storica finale di Wembley. Qui i blu-cerchiati vennero, purtroppo, sconfitti ai tempi supplementari dal Barcellona FC allenato da Johan Cruijff, ma quella storica impresa resta comunque impressa nella mente e nel cuore di qualsiasi tifoso doriano e dei giocatori che vi parteciparono, ma anche nella storia recente del calcio italiano. 

    Ho scelto di porre a Simone, che ringrazio per l'infinita disponibilità, 6 domande che potessero descrivere al meglio il suo ultimo libro, ma anche la sua passione per la scrittura, il suo lavoro di giornalista e per lo sport, in particolare per il calcio e la "sua" Sampdoria, la squadra per cui fa il tifo fin da bambino.

Qui di seguito vi propongo l'intervista completa.

Per iniziare raccontarci brevemente qualcosa della tua passione per la scrittura e della tua attività di sport writer e giornalista di Sky Sport.

In due parole collaboro con Sky Sport dal 2010. Qui arrivo un po' per caso perché facevo uno stage in sport management, che era l'ambito dove avrei voluto lavorare, poi però, dopo una occasione mancata da una parte, c'è stata la possibilità di arrivare proprio a Sky. Ho provato, visto che mi è sempre piaciuto anche fare il giornalista e da lì è iniziata questa avventura. Ora sono, quindi, 12 anni abbondanti che faccio questo mestiere e praticamente ho lavorato su due progetti principali che sono i Giochi Olimpici e la Formula 1, con quest'ultima che rimane il mio lavoro principale. 

Le Olimpiadi, però, sono importanti, come si legge nel libro, perché all'interno del progetto olimpico di Sky "Londra 2012" ho potuto conoscere Gianluca Vialli e un suo collaboratore. Quindi ho avuto la fortuna di lavorare insieme ad un mio mito sportivo, calcistico, conoscendone anche un pochino il lato umano. Il nostro è stato un rapporto professionale molto bello, interessante e stimolante, che mi ha lasciato tanto dal punto di vista lavorativo ma anche da quello umano. Questo incontro mi ha dato anche lo spunto per scrivere il libro di cui parleremo oggi. Aggiungo poi che la mia passione per le Olimpiadi è rimasta, poiché, in tempi recenti, ho lavorato anche su quelle di Tokyo e Pechino per Discovery ed Eurosport, quindi c'è un filo rosso che mi lega a questa manifestazione. Infine ho fatto alcune esperienze all'estero come ufficio stampa delle Youth Olympics, riservate ai giovani, in due edizioni invernali, quelle di Lillehammer 2016 e Losanna 2020. 

Parlando, invece, del tuo ultimo libro, intitolato "Wembley 1992. Il Doria e l'ultima Coppa dei Campioni", quale è stata l'idea di base dalla quale sei partito per raccontare la stagione di quella mitica Sampdoria, capace di vincere lo scudetto ed arrivare fino alla finale della coppa europea più importante? 

Nasce da una serie e un puzzle. Lo definisco così un puzzle, una serie di incastri, di esigenze personali e di spunti. Il primo spunto è stato sicuramente quello di cui ti ho detto sopra, l'incontro con Vialli ai Giochi Olimpici di Londra, poiché Wembley era la sede delle finali del calcio olimpico e il telecronista era proprio Luca Vialli. Proprio da una sua frase, cioè "Siamo due sampdoriani vent'anni dopo la finale di Wembley perché non ci torniamo da sampdoriani", è partita un po' la scintilla che ha fatto poi nascere la voglia e l'energia per scrivere questo libro. L'ho lasciata un po' decantare perché sono passati quattro anni, però quattro anni dopo ero in una fase in cui potevo permettermi di viaggiare e lavorare. Potevo fare, quindi, un viaggio ripercorrendo le tappe della Sampdoria in Coppa dei Campioni e quindi visitare le stesse città, gli stessi stadi e gli stessi posti. Possibilmente cercando di far raccontare ai protagonisti dell'epoca i lori ricordi, quello che loro avevano vissuto in prima persona giocando contro "Il Doria". 

È, quindi, un libro che nasce anche un po', diciamo, di rimessa, in contropiede perché ovviamente io mi muovevo lungo il tragitto della Samp 1991-1992 ma poi non sapevo veramente che cosa avrei provato e cosa  avrei portato a casa da queste trasferte, un po' come i blu-cerchiati che dovevano giocarsela su tutti i campi anche io me la sono "andata a giocare". Di capitolo in capitolo ho, quindi, sviluppato poi la trama del libro che è parzialmente un diario, cioè le mie esperienze e le mie interviste e parzialmente cronaca delle partite. Volevo, quindi, rinfrescare un po' i ricordi e dare soprattutto anche ai tifosi sampdoriani, nonostante ora la Sampdoria, ai giorni d'oggi, sia lontana da quei fasti del passato, una sponda per dire "noi siamo stati grandi". Per fare quelle cose, però, innanzitutto bisogna credere di poterle fare e sapere di avere un passato così glorioso e così attuale, perché poi, secondo me, lo si legge in alcune interviste come si possa fare del calcio di alto livello anche in una città come Genova e anche in una società come la Samp. Questo era l'altro mio obbiettivo, non solo viaggiare ed intervistare, ma soprattutto riaccendere un po' il filo e la passione europea dei tifosi doriani.

Come nasce, invece, la passione per la Sampdoria? Ti porti dietro fin da bambino questo amore per i colori blu-cerchiati? 

Io sono nato a Sampierdarena, che è un quartiere definito periferico, ma che è in realtà centralissimo in quel di Genova. Questa è, infatti, una città con una conformazione strana, lunga sulla costa e il mio quartiere d'origine è a ridosso del centro storico, del porto di Genova. Sono nato tra l'altro a pochi passi dal fu Ponte Morandi, la mia famiglia vive ancora lì. Infatti quella per me è stata una tragedia che ho vissuto da vicino, che mi ha toccato molto nel profondo. Fatto sta che a Sampierdarena il 99% dei tifosi di calcio è sampdoriano, poiché la Sampdoria è nata in questo quartiere ed una sua costola era appunto la Sampierdarenese. I miei genitori erano tifosi, sia da ragazzi, sia da adulti, poi quando sono nato io la Samp dopo 99 giorni esatti ha conquistato la sua prima Coppa Italia. Ho, quindi, avuto la fortuna di essere accompagnato fin da piccolissimo dalle vittorie e dal ciclo de "Il Doria" vincente prima e poi meno vincente dopo, ma comunque una squadra che ha sempre fatto battere i cuori dei tifosi genovesi e non. La mia passione è, quindi, una questione di famiglia, ma anche una questione geografica. Essere sampierdarinese, come lo sono io, significa anche ritrovare i valori del mio quartiere d'origine in quello che è la squadra blu-cerchiata oggi.

A proposito dell'essere tifoso sampdoriano, descrivici un po' cosa significa sostenere i blu-cerchiati in generale, soprattutto in una città come Genova?

Innanzitutto bisogna dire che essendo una delle due squadre di Genova non partiamo mai come i favoriti, ma siamo sempre un po' gli outsider. Questo perché il Genoa è nato prima e naturalmente l'establishment cittadino, parlo di politica, di ambiente culturale, ma anche industriale, è sempre stato schierato con "Il Grifone". Per farti un esempio la Sampdoria di Mantovani si è trovata a giocare con lo stadio distrutto e dimezzato o addirittura a giocare in campo neutro perché l'amministrazione comunale aveva deciso la demolizione del vecchio Stadio Ferraris in vista del Mondiali di Italia '90. Ovviamente è stato un grande svantaggio per una squadra che ambiva a giocarsi lo scudetto non poter disputare diverse partite col pieno del proprio pubblico. 

Essere sampdoriano, quindi, è già una scelta a Genova di non conformarsi al mainstream, di non volere essere quello che prende le parti della squadra più titolata, quella che ha più "simpatie" diciamo. E' una scelta un po' controcorrente e i miei genitori a quell'epoca la fecero, a maggior ragione poi, perché quando loro iniziarono a tifare la Samp questa squadra non aveva vinto assolutamente nulla. La mia, da adulto, invece, quando la Sampdoria aveva smesso di vincere, è stata la conferma di quella loro scelta controcorrente, poiché ho voluto comunque rispettare e preservare i valori che mi avevano insegnato. Il tifoso doriano, infatti, dovrebbe sempre accettare, anche se poi ci sono le eccezioni, il destino di una squadra non nata tra le più nobili, ma che ha avuto un periodo nobilissimo e vincente. Il grande insegnamento dell'ex presidente Paolo Mantovani ai tifosi blu-cerchiati, difatti, è stato questo: dover sostenere la squadra a prescindere, anche se poi ci sono sempre tempi e modi per fare critiche e mugugni. Il "mugugno" appunto, che a Genova è praticamente una parola magica, poiché nella mia città si mugugna sempre (ride ndr). Questi mugugni, però, devono essere lasciati stare durante le partite della Samp, si deve solo lottare, incitare e cantare, che poi è esattamente il senso di "Wembley 1992" perché sempre Mantovani dopo la sconfitta disse: "Abbiamo perso a Wembley e i sampdoriani hanno cantato, hanno visto andare via Gianluca Vialli e i sampdoriani hanno continuato a cantare, quindi finché i sampdoriani continueranno a cantare non ci saranno problemi per il futuro della Sampdoria". 

Ed è proprio questo quello che ci contraddistingue, identificarsi con uno stile, con un club, con una parte di Genova che è più moderna e rompe un po' gli schemi. Noi, se vuoi, rompiamo un po' gli schemi anche già dalla maglia che indossiamo, che ha questo tessuto, questo disegno particolare, questa trama che non si trova da nessuna altra parte. Proprio nel voler rompere gli schemi e nel voler andare controcorrente la Sampdoria rimane per me una scelta di vita.

Come è stato, invece, per te incontrare da vicino e poter parlare, rivivere certe emozioni, con i tuoi idoli di bambino, come Vialli, Mancini, Lombardo, Pagliuca, Lanna, ma anche con personaggi del calibro di Mihajlovic, Jugovic e tanti altri, alcuni tra l'altro passati proprio per Genova nell'arco della propria carriera?

Noi da genovesi, da liguri, amiamo il mare e sappiamo che la salsedine si deposita, lascia la sua impronta sulle imbarcazioni. In qualche modo sono andato a togliere la salsedine accumulata ai ricordi di questi giocatori, perché ciascuno di loro ha vissuto il momento più bello della carriera proprio in quegli anni lì. Pagliuca, Lombardo, Lanna, che oggi è il presidente della squadra doriana, ma all'epoca dell'intervista era un privato cittadino, per quanto tifoso illustre della sua squadra. Lo stesso Mancini quando abbiamo avuto l'incontro nel 2018 e gli ho portato una copia della prima edizione del libro comunque era visibilmente colpito, forse quasi emozionato, perché sicuramente per lui significava già qualcosa in prospettiva. Sapere, infatti, che la finale dell'Europeo che poi ha vinto, incredibilmente, era la stessa sede della partita che di più lo ha fatto soffrire in carriera, cioè Barcellona- Sampdoria. 

Personalmente è stata, per me, una grandissima emozione, un grande onore, ma c'è stata anche una certa difficoltà, perché poi le interviste, come sappiamo, vanno comunque calibrate in modo tale che l'interlocutore sia portato a parlare e ad esprimersi il più liberamente possibile poiché tu ovviamente sei stampa, sei media e quindi il tuo l'interlocutore, in qualche modo, è sempre un po' diffidente. Per esempio nell'intervista a Vialli emerge quel rapporto, diciamo, diretto perché lui sapeva che ovviamente avrei riportato in maniera iper-fedele tutto quello che mi avrebbe raccontato. Per questo, infatti, i suoi ricordi sono il grado più alto raggiunto del racconto, perché tutto quello che poteva raccontare su quella Samp e su quell'epoca, di quella partita in particolare. Questo è stato veramente un valore aggiunto. Anche le interviste degli altri, però, lo sono, come la parte in cui Mihajlovic parla poi della guerra civile nell'ex Jugoslavia. Qui c'è e c'era solamente da rimanere esterrefatti, a bocca aperta, pensando poi a quanto deve essere stato difficile fare lo sportivo e il calciatore professionista in un contesto del genere. Possiamo solo immaginarlo noi che non l'abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Quindi, alla fine, è stata anche una grande emozione, ma anche un lavoro da fare con rispetto. Ciascuno di loro, infatti, ha vissuto una lunga carriera nel prosieguo delle loro vite, anche non più da sportivi, ma quella porzione lì era evidentemente la porzione di vita, di carriera a cui tenevano di più e io dovevo essere rispettoso di questo aspetto.

Infine riguardo ai progetti futuri? Sempre legati alla Samp magari? Se puoi e vuoi dircelo naturalmente. 

Sulla Samp è difficile perché comunque si mischia il lavoro di giornalista con quella che è la fede calcistica. Ciascun giornalista ha infatti una squadra del cuore, così come ce l'hanno gli arbitri o i calciatori, solo che hai giornalisti questo non viene mai perdonato: io per fortuna, se vogliamo, non mi occupo direttamente di calcio, quindi per scrivere qualcos'altro sulla mia squadra bisognerebbe calibrare bene che cosa e in questo momento onestamente non vedo un progetto fattibile a breve. Ho, però, altri progetti: per esempio dopo la prima edizione di "Wembley 1992" avevo fatto uscire un libro, un po' sfortunato perché eravamo nel pieno della pandemia, su un viaggio nell'Europa League, nel quale seguivo il torneo cambiando città ogni volta e andando sempre in un posto diverso. Se vuoi simile per impostazione al mio ultimo libro ma nato principalmente per la voglia di vedere e vivere quella competizione nell'arco della stagione 2018-2019, per questo era nato "Ventimila chilometri in Europa League" che purtroppo, però, è uscito solo in e-book per i problemi noti dell'editoria durante il Covd-19. Questo è stato un progetto a cui tenevo veramente tanto e che mi piacerebbe rispolverare per la stagione 2022-2023 e non è detto che non si riesca a fare. L'approccio comunque rimane sempre lo stesso, lo sport, il calcio vanno vissuti a diretto contatto

Per esempio scrivere qualcosa sulla Formula 1 sarebbe bellissimo, per me, ma sono pochi gli spazi in cui veramente mi sono sentito a contatto con gli sportivi e gli addetti ai  lavori di questo sport. Questo, infatti, è molto più televisivo del calcio e ha delle modalità che sono molto diverse rispetto ad altri sport. Non esistono, diciamo, allenamenti nella F1, mentre nel calcio puoi frequentare "Milanello", "Appiano Gentile" o la "Continassa", nell'automobilismo o vai al circuito durante il weekend del Gran Premio o altrimenti le macchine, i piloti è molto difficile incontrarli o vederli dal vivo. Per questo, se proprio dovessi scrivere, tornerei a fare un altro "diario di viaggio" anche se con modalità diverse, con spirito diverso, soprattutto perché mi dispiace che "Ventimila chilometri in Europa League" abbia avuto un ciclo di vita breve e sfortunato. Quindi mai dire mai, la stampa è sempre nei miei pensieri. 

Ringrazio ancora una volta Simone per la sua grande disponibilità e simpatia, gli auguro, quindi, un grande in bocca al lupo per il suo nuovo libro e per i suoi prossimi lavori, nella speranza che anche in futuro potremmo ritrovarci a parlare nuovamente di calcio e di sport.

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