Quattro chiacchiere con gli scrittori: Marco Pastonesi e il suo libro "Elogio del gregario"

 
    Tornano gli articoli di approfondimento sul blog CulturalmenteSport e in particolare torna nuovamente una "rubrica" a cui tengo molto e che già in passato vi ha tenuto compagnia diverse volte. Sto parlando di "Quattro chiacchiere con gli scrittori", con cui voglio raccontare, attraverso la voce degli autori, i loro libri e racconti che trattano di argomenti sportivi e che reputo particolarmente interessanti. 

    Oggi parliamo del famosissimo giornalista e scrittore, Marco Pastonesi, che ho avuto il piacere e l'onore di intervistare negli scorsi giorni per parlare del suo ultimo libro, edito da Battaglia Edizioni, intitolato "Elogio del gregario", che proprio da oggi sarà disponibile in libreria. Si tratta di un interessantissimo racconto, ricco di ricordi, aneddoti e storie, sul ciclismo, raccontato praticamente in "prima persona" da coloro che il ciclismo l'hanno vissuto da "dietro le quinte", cioè dai gregari, quelli che hanno aiutato i grandi campioni del passato e del presente a vincere le grandi corse a tappe. Ciclisti, ma prima di tutto uomini, che hanno visto e vissuto il ciclismo in maniera diversa rispetto ai loro capitani, per i quali hanno dato tutto e senza i quali questi non avrebbero raggiunto grandi risultati. Proprio i gregari, che come a sottolineato l'autore, hanno tantissime storie da raccontare, ricche di fatica, dolore ed emozioni, ma anche di tanta umanità e allegria

    Pastonesi non ha bisogno, certamente, di presentazioni, poiché è stato editorialista de La Gazzetta dello Sport per ben 24 anniseguendo diciotto volte il Giro d'Italia, dieci volte il Tour de France e una Olimpiade e in passato, ha già scritto e pubblicato diversi libri sul ciclismo, una delle sue più grandi passioni. Tra questi si possono citare: "Ernesto Colnago. Il maestro e la bicicletta. Conversazione con Marco Pastonesi""Coppi ultimo""La quinta tappa" (insieme allo "squalo" Vincenzo Nibali); "Spingi me sennò bestemmio. Storie di ultimi: maglie nere, lanterne rosse e fanalini di coda"; "I diavoli di Bartali. Ginettaccio raccontato da chi correva insieme, contro e soprattutto dietro" ; "Pantani era un dio""Il diario del gregario ovvero Scarponi, Bruseghin e Noè al Giro d'Italia"; "Gli angeli di Coppi"Inoltre ha raccontato e scritto anche di rugby, altro suo grande amore, ma anche di calcio e di tanti altri sport, partecipando attivamente anche alle biografie del pallavolista Ivan Zaytsev e della calciatrice Barbara Bonansea

    Ho scelto di porre a Marco, che ringrazio per l'infinita disponibilità e la sua grande gentilezza, sei domande che potessero descrivere al meglio il suo ultimo libro ma anche la sua passione per la scrittura, per il ciclismo e le sue magnifiche storie, soprattutto quelle meno conosciute. 

Qui di seguito vi propongo l'intervista completa.

Come nasce questa tua passione giornalistica e di scrittore, soprattutto per quanto riguarda il ciclismo, ma anche il rugby, i tuoi due sport preferiti?

È una passione che ho sempre avuto: da piccolo volevo fare o il benzinaio o il giornalista de La Gazzetta dello Sport. Grazie a Dio è andata bene (mi dice ridendo) sia con il giornalista che con La Gazzetta dello Sport. C'è l'ho fatta grazie ad una serie di fortunatissime coincidenze, perché poi diventare giornalista, all'epoca, era molto difficile. Ora, invece, chiunque scriva su un blog, per esempio, è "giornalista", sta facendo del giornalismo diciamo, mentre allora era come diventare un'astronauta, soprattutto per chi non era figlio di un giornalista, quindi non faceva parte di quella che possiamo definire corporazione, categoria, "setta". Mi è andata proprio bene, ecco, perché poi per ventiquattro anni sono diventato giornalista de La Gazzetta, meglio di così non poteva andare quindi. Lo sport perché è sempre stata la mia passione, il mio divertimento, il mio luna park, perché giocando a pallone, a pallacanestro, poi anche a rugby. Con quest'ultimo sono anche arrivato a giocare addirittura in Serie A, sempre per una serie di fortunosi eventi, un livello che forse non meritavo, ma sai com'è il rugby è uno sport democratico, liberale, comunista, di squadra, cattolico, quindi mi è andata bene anche qui. Poi ho continuato ha scrivere di rugby, di ciclismo, per restituire qualcosa di tutto quello che questi sport mi hanno dato: il rugby è stato una scuola di vita, di morale e forse anche religiosa; il ciclismo, invece, è stata la storia e la geografia, ma anche l'avventura e l'esplorazione. 

Nel tuo ultimo libro "Elogio del gregario" ci racconti le storie dei gregari del ciclismo, dei "non campioni", diciamo di quelli "dietro le quinte", che aiutano però i campioni a vincere tappe e Giri e che hanno una importanza fondamentale nel mondo del ciclismo. Come è nata l'idea di questo libro? Come lo descriveresti?

Loro "sono i mei", sono i miei informatori, i miei ispiratori, i miei maestri. Hanno poi un privilegio, le loro storie sono spesso inedite, perché tutti vanno dai primi, vanno dai vincenti, dai vincitori, dai leader, dalle maglie rosa, dalle maglie gialle, dai campioni, mentre pochi, o nessuno, va dai gregari, che invece hanno tante storie da raccontare. A cominciare dalla loro e da un punto di vista che è diverso, perché è quello della pancia del gruppo e non della coda. Hanno poi, come diceva Sergio Zavoli, storie più belle da raccontare, perché i campioni, i capitani ti parlano di ciclismo, mentre i gregari ti parlano della vita. Allora spazio ai gregari, anche perché di Coppi, Pantani, Nibali, di cui tra l'altro ho scritto anche io, hanno scritto in tanti, tantissimi, anche tanto bravi, mentre sui gregari c'è ancora spazio, molto, tanto spazio. A volte si gode anche del monopolio, diciamo, quindi spazio a loro, con tutto l'affetto, con tutta la riconoscenza, la gratitudine che ho verso di loro, ma anche l'amicizia che mi hanno regalato. Inoltre questo è un libro scritto da me, per la prima volta in prima persona, quindi non sto io, diciamo dietro le quinte, ma faccio capire che questi gregari, questi uomini, li ho conosciuti, li ho frequentati e studiati, stando anche a casa loro. Cerco, allora, di dimostrare che questo non è un copia e incolla, come spesso, talvolta si usa fare oggi, più facilmente che in passato, ma è una conoscenza vera, autentica, profonda, vissuta, quindi, secondo me, più valorosa.

Sempre riguardo al tuo "Elogio del gregario" cosa vorresti che rimanga impresso nella mente del lettore? Quale messaggio vorresti trasmettere?

Vorrei trasmettere umanità e divertimento. Umanità perché sono storie, come detto, vere e sentimentali, mentre divertimento perché nella vita è indispensabile un po' di leggerezza, come nel ciclismo. Anche se questo è sempre stato vissuto come uno sport di fatica, addirittura di dolore, però anche nel ciclismo ci sono tanti momenti in cui si ride, si scherza, in cui questo sport, che fino a poco prima, era apparso come un calvario, diventa poi, diciamo, un vero e proprio "circo". 

C'è un aneddoto in particolare, un episodio o una persona, riguardante l'ultimo libro a cui sei particolarmente legato?

Nel libro ci sono una ventina di, diciamo, incontri, tra questi quello che mi piace ricordare di più è quello con Andrea Carrea, detto "Sandrino", uno degli "angeli custodi" di Fausto Coppi. Andai a trovarlo a casa sua, a Cassano Spinola, che è non lontano da Tortona, Novi Ligure, insomma in una zona cosiddetta "coppiana" e lui mi ricevette con molto sospetto e diffidenza, poiché era diciamo "un orso" come persona. Poi, però, piano piano, già durante il primo incontro e poi durante i successivi mi "promosse" dal giardino, al tinello, perfino nel salotto buono e questo fu il segno di una bella amicizia che continuo ad avere con la moglie, con il figlio, anche dopo la sua morte. Sono diventato insomma uno di casa e questa cosa per me è, ancora oggi, molto commovente e vale veramente un premio Nobel: questo è il mio premio Nobel pe me. Ho acquistato, diciamo, fiducia sì, ma la chiamerei di più gratitudine o affetto, insomma quel qualcosa che capisci subito quando una persona ti vuole bene".

Hai scritto tantissimi splendidi libri nel corso della tua carriera di scrittore: ce n'è uno che ricordi con maggiore affetto e piacere?

Devo dirti, sinceramente, che io i miei libri faccio sempre fatica a rileggerli, perché ho sempre paura di trovare errori e di trovarli diciamo "migliorabili". E alla fine hanno sempre un errore o più meno un ampio margine di "miglioramento". Un libro che, però, resiste al tempo, forse perché è un libro fuori dal tempo, è "La leggenda di Maci. Vita, morte e miracoli di Battaglini, il maciste del rugby", che racconta la storia di Mario detto "Maci" Battaglini, un rugbista di Rovigo e della Nazionale italiana. Questo qui è un libro che vive "come su una nuvola", che sta bene, sta bene di suo. Posso, quindi, definirlo sì come mio "preferito", perché vive di suo ed è immodificabile. 

Progetti futuri? Hai altri racconti interessanti sul ciclismo, o magari su altri sport, che hai in mente di scrivere, pubblicare e farci leggere, se puoi dircelo?

Posso dirti che più che dei libri, ho qualche sogno futuro: mi piacerebbe scrivere un libro sulla pallanuoto, più in particolare sulla filosofia della pallanuoto, ma mi piacerebbe parlare anche della vita di un pugile. Però, alla fine, credo che, forse, il prossimo che scriverò sarà, invece, sulle vite parallele di due rugbisti. 

Ringrazio ancora una volta Marco per la sua grande disponibilità e gli auguro un grande in bocca al lupo per il suo nuovo libro e per i suoi prossimi lavori, nella speranza che anche in futuro potremmo ritrovarci a parlare nuovamente di ciclismo o dei suoi bellissimi scritti.

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