Quattro chiacchiere con gli scrittori: Stefano Ravaglia e il suo libro "Lettere da Liverpool"

    Tornano gli articoli di approfondimento sul blog CulturalmenteSport e in particolare torna nuovamente una "rubrica" a cui tengo molto, che già in passato vi aveva tenuto compagnia. Sto parlando di "Quattro chiacchiere con gli scrittori", con cui voglio raccontare, attraverso la voce degli autori, i loro libri e racconti che trattano di argomenti sportivi e che reputo particolarmente interessanti. 

    Oggi parliamo del giornalista e football writer, Stefano Ravaglia, che ho avuto il piacere di intervistare negli scorsi giorni e che ha da poco pubblicato il suo ultimo libro "Lettere da Liverpool", edito nel 2020 da Battaglia Edizioni. Si tratta di un interessantissimo racconto, ricco di ricordi, aneddoti e storie, su una delle squadre inglesi più importanti e titolate della Premier League, che tutti gli appassionati di calcio conosceranno e apprezzeranno per i suoi successi e le sue vicende calcistiche: il suo nome è Liverpool Football Club, compagine della città omonima, capoluogo del Merseyside, vincitrice di ben sei Champions League e di diciannove campionati inglesi (di cui l'ultimo proprio la scorsa stagione), oltre naturalmente di altri numerosissimi trofei nazionali ed internazionali.

    Ho scelto di porre a Stefano, che ringrazio per l'infinita disponibilità, sei domande che potessero descrivere al meglio il suo ultimo libro ma anche la sua passione per la scrittura, per il calcio e per le sue grandi storie, in particolare per quelle inerenti proprio i The Reds

Qui di seguito vi propongo l'intervista completa.

Da quanto tempo scrivi di calcio e storie sportive? Come nasce questa tua passione giornalistica e di football writer? 

Il calcio è la mia passione sin da bambino, e sempre da bambino, alle elementari, mi dicevano che facevo temi da medie. Inoltre, quando giocavo a subbuteo, facevo pure le telecronache. Avrei dovuto seguire subito quei segnali, e invece la scrittura sportiva mi è esplosa definitivamente circa 7 anni fa, quando ho iniziato a scrivere il mio primo libro, "Il pallone con i pentagoni". Ho seguito il calcio sugli spalti in tanti stadi, in Italia e in Europa, ma sono sempre stato soprattutto un appassionato della sua storia, anche perché oggi purtroppo la maggior parte dei tifosi è appassionata di calcio ma non ha quella che io chiamo "cultura calcistica". Per cui, nella mia nicchia, spero di poter fare qualcosa per colmare questa lacuna.

Nel tuo ultimo libro "Lettere da Liverpool" ci racconti della tua grande passione per il Liverpool FC: come nasce questa tua attrazione verso il calcio inglese e in particolare per i The Reds?

L'Inghilterra è la culla del pallone, e va da sé che chi è appassionato di calcio volga lo sguardo lassù. Adoro il rispetto delle tradizioni, quei prati di un verde unico, il boato dei tifosi al gol, e quell'impronta vintage che è sopravvissuta nei decenni. Il Liverpool per me è il punto di riferimento di tutto: la sua storia, il suo stadio, Anfield, e la Kop. È come fosse nato tutto lì, è una chiesa laica del calcio e i suoi tifosi sono dei fedeli che vi si recano ogni sabato. Questo va al di là di qualsiasi tifo o simpatia, perché il calcio non è solo campanilismo ma soprattutto ammirazione anche per luoghi e squadre sacre, seppur avversarie.

Sempre in "Lettere da Liverpool" ci parli anche delle sensazioni provate durante una partita del Liverpool ad Anfield Road. Cosa ti è rimasto più impresso, quali sentimenti hai provato? Quali differenze ha notato sugli spalti o in campo, soprattutto rispetto al nostro calcio?

Mi sarebbe piaciuto andare al vecchio Anfield, negli anni Settanta o Ottanta, dove c'era il ruspante ruggito del pubblico e la Kop era un luogo in perenne movimento. Oggi è cambiato molto, i tifosi in Inghilterra sono un po' più "salottieri", ma il fascino della gente di Anfield è rimasto intatto nel corso dei tempi. Ciò che colpisce subito è il momento in cui entri: nessun controllo, nessun pre-filtraggio, un mondo nuovo rispetto a come siamo abituati in Italia e a come sono stato abituato per molto tempo. Hai la sensazione che ti dicano "Godetevi l'evento, liberamente. Ma chi sbaglia paga". Ed è davvero così. E poi il pub: in Italia si fanno tante manfrine per proibire l'alcol, lassù Anfield, e un po' tutti gli stadi inglesi, hanno intorno pub che traboccano di tifosi prima della partita. Senza il minimo problema. Il pub fa parte della cultura inglese e del tifo per un club.

C'è qualche aneddoto, in particolare, che ti lega alla squadra allenata da Jurgen Klopp? Per esempio, una partita o una giocatore a cui sei maggiormente affezionato che vuoi, se puoi, raccontarci?

Sono molto legato a Robertson: spirito scozzese, indomito, anche se un po' come tutto il Liverpool quest'anno ha avuto delle difficoltà. I primi ricordi che mi vengono in mente sono relativi all'ultima partita vista ad Anfield, un 5-5 in Coppa di Lega con l'Arsenal, con in campo quasi tutte riserve. Vanno bene i Liverpool-Manchester o i Liverpool-Barcellona, ma queste partite in trofei meno prestigiosi con Anfield comunque tutto esaurito, sono ricordi indelebili. E poi il pullman scortato dalla gente del Liverpool verso Anfield: ali di folla con in mano fumogeni rossi. "Mas que un club", il motto del Barcellona, vale soprattutto da queste parti. Il Liverpool è parte della cultura e della gente della città, almeno della parte rossa, contrapposta ai blu dell'Everton.

Come descritto nel tuo libro fai anche parte del  "Liverpool Italian Branch", il fan club ufficiale italiano della squadra inglese Come vivi e vivete una passione calcistica così lontana dalla nostra Italia?

Siamo tutti sparsi per l'Italia, tutti con una diversa squadra italiana per cui tifiamo, ma accomunati da una passione certificata per i Reds. Ci sono tifosi più di lungo corso, altri arrivati da poco, o chi si è addirittura trasferito là e ha sposato la causa del club intrecciandolo con la sua vita. Nonostante siamo tutti in città diverse, siamo in costante contatto ogni giorno. Ogni anno si fa il raduno del club, si commemora chi non c'è più, e si fa il tesseramento, che ha un significato molto ampio: non un club da utilizzare come una rivendita di biglietti per Anfield, ma un modo per avere senso di appartenenza anche oltre al calcio. Prima del Covid, si aveva i biglietti per 6 partite di Premier League a stagione, e tutti più o meno riuscivano a toccare con mano i gradoni di quella chiesa laica. E ora soffriamo: senza poter prendere più aerei per Liverpool, è davvero durissima.

Progetti futuri? Hai altri racconti interessanti sul fantastico mondo del pallone che hai in mente di scrivere, pubblicare e farci leggere, se puoi dircelo?

Dopo quattro libri in cinque anni, direi che mi fermo. Non mi occupo solo di calcio, ma anche di un altro paio di sport, quindi sono costantemente sotto pressione con articoli, dirette, interviste, eccetera. Il mio obbiettivo ora come ora è cercare di togliere e non di aggiungere. Perché quando si fanno troppe cose, poi ci si stressa un po' troppo. Mi piacerebbe scrivere anche di altro: l'Inghilterra è la mia passione oltre al calcio e ho in cantiere, con qualche pagina buttata giù, anche un libro su alcune donne che hanno attraversato la storia britannica. Ma per ora devo un po' rimettere ordine nella mia vita.

Ringrazio ancora una volta Stefano per la sua grande disponibilità e gli auguro un grande in bocca al lupo per il suo nuovo libro e per i suoi prossimi lavori, nella speranza che anche in futuro potremmo ritrovarci a parlare nuovamente di calcio o dei suoi bellissimi scritti. 

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