Tony Parker: The Final Shot, il film sul miglior cestista francese di sempre

La locandina del documentario su Tony Parker distribuito da Netflix. 

    Dopo una pausa di qualche settimana tornano finalmente gli articoli di approfondimento sul blog Culturalmente Sport e in particolare tornano le recensioni dei film e dei documentari sportivi che reputo maggiormente degni di nota. 

    Oggi, in particolare, voglio parlarvi del film documentario intitolato "Tony Parker: The Final Shot" del regista francese Florent Bodin, che ci racconta proprio la vita e la carriera cestistica di William Anthony Parker, meglio conosciuto come Tony Parker, probabilmente il miglior giocatore di basket francese di ogni epoca.  La pellicola è disponibile su Netflix dal 6 Gennaio di quest'anno ed è stata prodotta proprio dal colosso statunitense dell'home cinema, insieme alla casa di produzione francese Mediawan per celebrare la carriera del quattro volte campione NBA con i San Antonio Spurs, che si è ritirato nel 2019 dopo 1.480 partite nelle lega professionistica americana.

    Il film, ben costruito e delineato, parte proprio dalle origini del cestista transalpino, descrivendo la sua infanzia e i primi palleggi nella sua città d'origine in Belgio, Brugge. Parker, infatti, è nato nel paese con a capo il re Filippo, il 17 Maggio 1982, ma ha, per la maggior parte, sempre vissuto in Francia, fin da ragazzino, ottenendo di fatto la cittadinanza del paese d'oltralpe. Il padre, Tony Parker Senior, era anche lui un ex giocatore di pallacanestro, nato negli Stati Uniti, mentre la madre, Pamela Firestone, è di origini olandesi. Tony ha anche due fratelli, T.J. e Pierre, anche loro ex cestisti. 

    All'inizio, ci racconta la pellicola, T.P., questo il suo soprannome, era un appassionato di calcio, ma ben presto, soprattutto grazie al padre e alle imprese sportive del leggendario Michael Jordan, che diventerà poi il suo idolo, si innamora della palla a spicchi, cominciando a sognare di giocare in NBA, proprio come il suo mito. Il giovane Tony, infatti, si distingue subito per la sua intelligenza cestistica e le sue doti atletiche con la palla in mano, nonostante l'altezza e il fisico esile, diventando presto un piccolo campione. Ecco, allora, che all'età di 15 anni entra a far parte della squadra di basket dell'INSEP, il centro statale francese di eccellenza nelle attività sportive di Parigi, dove si formerà completamente come atleta e come uomo, incontrando anche due futuri campioni, oltre che compagni di squadra in nazionale, come Boris Diaw e Ronny Turiaf, con cui vincerà anche l'europeo Under 18 in Croazia nel 2000. Dopo questa esperienza inizia a giocare nelle serie minori francesi, passando poi nel 1999 al Paris Basketball Racing, continuando a dimostrare tutto il suo talento. Resterà con la compagine parigina fino al 2001, quando sarà selezionato al Draft NBA di quell'anno, con la scelta numero 28 del primo giro, dai San Antonio Spurs di Gregg Popovich. 

    Ecco, allora, che il 30 Novembre dello stesso anno, Parker debutta in NBA, vestendo la maglia numero #9 della franchigia texana, contro i Los Angeles Clippers. Diventò così il secondo cestista di nazionalità francese, dopo Tariq Abdul-Wahad, a giocare nella lega statunitense, oltre ad essere il più giovane esordiente della storia degli Spurs, avendo debuttato a soli 19 anni, 6 mesi e 13 giorni.

    All'inizio, però, bisogna dirlo, le cose non sono per nulla facili: la stella della squadra texana, Tim Duncan, non gli rivolge neanche la parola per tutta la prima stagione, mentre gli altri compagni di squadra, tra cui David Robinson, non lo considerano granché. Lo stesso coach "Pop" (il soprannome di Popovich) non gli perdona nulla, criticandolo al minimo errore, mettendolo in imbarazzo, non solo, davanti a tutti i compagni di squadra, ma anche in diretta nazionale, urlandogli in faccia le cose che non vanno bene, senza troppi giri di parole. Tony, però, nonostante torni a casa in lacrime, quasi ogni sera, lo sa di che pasta è fatto e che non deve mollare, perché il suo allenatore e i suoi compagni lo fanno per il suo bene, lo stanno mettendo alla prova per catechizzarlo, per farlo migliorare e per far uscire tutto il suo potenziale, come ci raccontano proprio nel documentario. Il "folletto" francese, riesce, così, in poco tempo, a dimostrare di essere un giocatore di valore, nonostante il suo fisico "mingherlino", sfruttando la sua forza di volontà e il suo talento, zittendo i critici e facendo ricredere anche la sua stessa franchigia, che aveva sì puntato su di lui ma senza pensare di aver trovato un futuro campione. Una volta sviluppata una mentalità di ferro e dopo duri allenamenti arriverà, quindi, come ci racconta lo stesso Parker, anche le prima grande soddisfazione: il titolo NBA del 2003, che lo rendono, a soli 21 anni, il primo francese a vincere un anello. 

    Si arriva, poi, andando avanti nella narrazione, agli anni migliori della carriera del cestista transalpino, raccontati proprio dallo stesso Tony, che colleziona praticamente un successo dopo l'altro, vincendo altri due titoli in tre anni, nel 2005 e nel 2007, con gli Spurs, insieme a Tim Duncan e all'argentino Manu Ginobili, formando i leggendari "Big Three". Arrivano così anche le prime tre convocazioni all'All Star Game (nel 2006, 2007 e 2009), il titolo di MVP delle Finals nel 2007, ma si sviluppano anche le grandi rivalità: sia con i Miami Heat di LeBron James, sia con i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant. 

    Proprio il  "Black Mamba" rilascia in questo documentario una delle sue ultime interviste prima della prematura scomparsa avvenuta lo scorso anno, facendo scendere a chi scrive più di una lacrima, lo ammetto. Kobe è, infatti, uno dei giocatori intervistati nel corso del lungometraggio e dichiara senza troppi giri di parole tutta la sua ammirazione per Parker, definendolo uno dei giocatori più forti e intelligenti che ha incontrato sul parquet nel corso della sua carriera. Dichiarando, inoltre, con il sorriso sulle labbra, che è proprio "per colpa" del francese se si è fermato a "solo" cinque anelli con i Lakers, insomma una vera e propria investitura da parte del leggendario numero #24. 

"Ho giocato contro Tony per anni. Anni, anni e anni. È responsabile del fatto che io abbia smesso di vincere titoli." Queste alcune delle parole di Bryant su Parker. 

    Non solo Bryant, ma anche tantissimi altri personaggi dello sport e dello spettacolo raccontano la carriera di Tony, con aneddoti e curiosità. Tra questi vi è anche il campione di calcio francese e carissimo amico Thierry Henry, oltre naturalmente ai compagni di squadra come Ginobili e Duncan, di nazionale come Diaw e Turiaf, già citati in precedenza, ma anche Bruce Bowen e, infine, uno degli avversari più agguerriti sia in NBA che in campo europeo, Pau Gasol.

    Oltre alle vittorie con San Antonio, anche con la "sua" Francia arrivano diverse soddisfazioni. T. P. diventa il leader indiscusso della sua nazionale, che trascina anche alla medaglia d'oro agli Europei del 2013 in Slovenia, vincendo anche il titolo di MVP della competizione. Un successo meritato e cercato per lui e per tutta la nazionale transalpina, arrivato dopo anni di secondi e terzi posti alle spalle tra le altre di Lituania e Grecia, ma soprattutto della rivale numero uno, la Spagna del già citato Gasol. 

    Il film volge poi al termine dedicando le scene finali agli ultimi anni della carriera di Parker: passando anche per l'ultimo titolo nel 2014, per il grave infortunio al quadricipite del 2017, il ritorno quasi miracoloso e l'ultimo anno agli Charlotte Hornets, dopo la "rottura" con la franchigia texana, con cui aveva militato per ben 17 anni, prima del definitivo ritiro avvenuto nel 2019

    Durante il documentario ci viene mostrato, naturalmente, anche un Tony Parker inedito, che ora si occupa della sua famiglia, dopo anni passati sotto i riflettori (soprattutto durante il periodo in cui è stato sposato con la star di Hollywood Eva Longoria), prendendosi cura di moglie e figli in modo esemplare. Il cestista francese continua a vivere tranquillo la sua esistenza a San Antonio, una città che gli è rimasta nel cuore, anche dopo il ritiro, dedicando ancora gran parte della sua vita al mondo del basket, ma anche a quello della filantropia. Ha, infatti, aperto una Accademia a Lione, in Francia, ma pure e in Cina, è tutt'ora uno dei testimonial di Peak, azienda di abbigliamento proprio del paese asiatico, con la quale ha creato, nel corso degli anni, una sua linea di scarpe da basket ed è inoltre presidente e proprietario della squadra di basket francese dell'Asvel

    Un racconto consigliatissimo, affascinante ed educativo allo stesso tempo, che ci racconta di un campione dentro e fuori dal campo, che con grande sacrificio, duro lavoro, grinta, umiltà, sana follia e qualche volta anche un pizzico di impudenza è diventato uno sportivo di livello assoluto, apprezzato e ben voluto non solo nella "sua" Francia, ma in tutto il mondo. Una pellicola che sicuramente piacerà anche a chi non segue troppo da vicino il basket e che farà, invece, stropicciare gli occhi a chi porta la palla a spicchi nel suo cuore. Non perdetela! 

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