The Carter Effect: l'importanza di Vince Carter nella crescita dei Toronto Raptors

(Netflix.com)

Dopo aver parlato, negli articoli precedenti del blog, dello sport nell'antica Antica Grecia e dei riferimenti storici e mitologici che ci ha lasciato anche nell'attività sportiva di oggi, con questo nuovo pezzo torniamo più vicini ai giorni nostri. 

Oggi, infatti, voglio parlarvi di un documentario sulla pallacanestro intitolato The Carter Effect, diretto da Sean Menard e prodotto dalla Uninterrupted, la casa di produzione fondata da LeBron James, insieme al suo socio Maverick Carter. Il film è uscito per la prima volta nel 2017, presentato al Toronto International Film Festival ed è tutt'ora disponibile per la visione in streaming su Netflix.

In particolare la pellicola parla dell'ex stella NBA Vince Carter, ritiratasi dal basket giocato il 25 giugno dello scorso anno, soffermandosi sugli anni in cui ha giocato nei Toronto Raptors, attualmente l'unica franchigia canadese presente nella lega a stelle strisce e vincitrice del campionato di basket americano, per la prima volta nella sua storia, nel 2019.

Carter fu selezionato al Draft del 1998 come quinta scelta, dopo essersi formato nel college di North Carolina, dai Golden State Warriors, ma subito scambiato con Antawn Jamison, che i Raptors avevano scelto prima di lui, cioè alla pick numero quattro. Il nativo di Dayton Beach, in Florida, era già all'epoca del Draft una potenziale superstar, anche se il suo nome non era ancora così conosciuto in tutti gli ambienti del basket americano e mondiale. Fu fin da subito felice di accettare di giocare nella franchigia canadese, da poco entrata a far parte della Lega, cosa che non tutti avrebbero accettato così volentieri considerando la scarsa tradizione cestistica della città capoluogo dell'Ontario.

In riva al lago Ontario e in particolare in Canada, nazione più famosa per l'hockey su ghiaccio che per altri sport, il basket che conta era arrivato, infatti, solo tre anni prima, nonostante una delle prime squadre di pallacanestro della BAA (il nome con cui si chiamava l'NBA prima del 1949), gli Huskies, avessero sede proprio a Toronto, ma durarono un solo anno. La storica data fu, così, il 1995, quando l'NBA, su pressione del suo commisioner David Stern, decise di allargare il numero delle squadre a 29 e insieme ai "dinosauri" arrivarono nella lega cestistica più famosa del mondo anche i loro "cugini" dei Vancouver Grizzlies. Questi però durarono solo sei anni al di fuori dei confini americani prima di trasferirsi a Memphis, lasciando da sola la squadra di Toronto. Questa si ispirò per il nome al film Jurassic Park, che all'epoca era uno delle pellicole più iconiche e più viste nelle sale e sulla TV di casa, grazie alle ormai superate videocassette.

I colori originari della squadra, il cui primo general manager fu la leggenda dei Detroit Pistons Isiah Thomas, furono il viola, il rosso e il nero, oltre all' "argento Naismith", che omaggiava, James Naismith, l'inventore della pallacanestro originario proprio delll'Otario e più precisamente di Almonte. Come simbolo, invece, fu scelto giustamente un dinosauro, più precisamente un Velociraptor con scarpe da basket e intento a palleggiare con una palla a spicchi. Nelle prime stagioni NBA e fino al 1999 i Raptors giocarono allo SkyDome, poi chiamato Rogers Centre, uno stadio coperto del baseball situato ai piedi simbolo della città canadese, la CN Tower

Gli inizi, però, non furono proprio dei migliori, anzi furono decisamente complicati. Nelle prime tre stagioni la franchigia canadese collezionò, infatti, moltissimi insuccessi, soprattutto nella stagione 1997-98 che chiuse con un record negativo di sole 16 vittorie e 66 sconfitte su 81 partite disputate. Questo nonostante la settima scelta al Draft del 1995, un certo Damon Stoudamire, ceduta poi a Portland proprio alla fine di quella disastrosa stagione. Non solo sul parquet, però, ma anche al di fuori le cose non andavano per il meglio, considerando lo scarso seguito di tifosi avuto dalla squadra in città. 

Il vento cominciò a cambiare dal 1998 in poi, prima con l'arrivo di Tracy McGrady, nona scelta al Draft del 1997 e poi definitivamente l'anno successivo con l'arrivo proprio di Carter. Il suo ingaggio, infatti, diede una notevole accelerata alla crescita dei Raptors, contribuendo a cambiare la percezione della squadra da parte del mondo della NBA e degli altri team del campionato. Un giocatore esplosivo e spettacolare come "Vinsanity", uno dei soprannomi più celebri dati al numero #15 di Toronto per le sue giocate magnifiche e fuori dal comune, infatti attirò l'attenzione di tutta la Lega e più in generale degli appassionati di pallacanestro di tutto il mondo. L'interesse nei suoi confronti crebbe a tal punto che diversi "nuovi" tifosi si avvicinarono alla squadra canadese. 

Questo fu il cosiddetto “Effetto Carter”, la traduzione letterale del titolo del film, che, come viene ben spiegato nel documentario, fece crescere, di anno in anno, sempre di più l'interesse nei confronti dei Raptors. Questi furono identificati, sempre di più, con la loro stella più lucente, divenuto l'uomo-franchigia per eccellenza e le sue giocate fuori dall'ordinario, fatte di tantissimo gioco aereo e schiacciate altamente folli e spettacolari. Questo accadde soprattutto perché quelli furono gli anni immediatamente successivi al ritiro di uno dei più grandi giocatori della storia, se non addirittura il migliore di sempre, un certo Michael Jordan. Ecco quindi che in NBA c'era bisogno di nuove superstar e Carter poteva essere proprio una di queste. I Raptors passarono, infatti, da quel bruttissimo record di 16-66 della stagione precedente al suo arrivo ad un 23-27 con cui chiusero la stagione 1998–99, più corta a causa del lockout e con sole 50 partite. Vince vinse anche  il premio di Rookie of the Year, realizzando 18,3 punti di media a partita.

Bisogna però riconoscere anche il ruolo avuto inizialmente da McGrady nella crescita della franchigia dell'Ontario, almeno fino alla stagione 1999-2000, poiché in quella successiva si trasferì agli Orlando Magic, principalmente perché "oscurato" dall' "ingombrante" figura di suo cugino “Air Canada”, l'altro soprannome dato a Carter per le sue vere e proprie "planate" al di sopra del ferro che lo facevano somigliare agli aerei della compagnia di bandiera canadese, che all’epoca dava anche il nome all’attuale Scotiabank Arena, dove i Raptors si trasferirono a partire dal 1998 e dove tutt'ora giocano ancora. 

I mass media, i tifosi e il pubblico, infatti, accrebbero sempre di più, fino all'esasperazione, la normale rivalità tra i due campioni dei Raptors, finendo per creare un vero e proprio dualismo tra Vince e "T-Mac", il soprannome dato a McGrady. Questa rivalità divenne sempre più accesa, per poi scoppiare definitivamente, soprattutto dopo il trionfo di Carter nello Slam Dunk Contest all’All-Star Game di Oakland 2000. Tra quelle fantastiche schiacciate, che gli consentirono di vincere il premio, non si possono non citare il mitico  “360” in senso contrario e l’epica Elbow Dunk, che "Vinsanity" eseguì restando appeso con il braccio infilato nel canestro. Fu così che per McGrady quella fu l'ultima goccia, il vaso traboccò in modo irrecuperabile e il cestista di Bartow (Florida), vedendo esaltare sempre di più l'altra stella della squadra, si sentì trascurato a tal punto che, una volta diventato free-agent, decise di tornare in Florida.

La spettacolare schiacciata chiamata Elbow Dunk e le parole di Carter
dopo aver vinto lo Slam Dunk Contest di Oakland: "Penso che certe persone sapessero chi eravamo, dove eravamo, ma ora Toronto è davvero posizionata sulla mappa".

Soprattutto dopo la magnifica esibizione all'All Star Game appena citato Carter cominciò ad ispirare e influenzare la maggior parte dei ragazzi della città di Toronto, che, insieme ai "più grandi", cominciarono ad appassionarsi sempre di più al basketball. La percezione della squadra cambiò, così, in modo radicale agli occhi dell'intera comunità della città, ma impattò anche sulla cultura popolare del Canada e del Nord America. Il tifo per i Raptors si radicò, infatti, in modo così incisivo nel tessuto sociale della città, ma anche nella sua conformazione fisica, con l'inaugurazione per esempio di nuovi playground per giocare a basket, che il numero degli spettatori all'Air Canada Center crebbe vertiginosamente. Non solo, però, perché tutto ciò influenzò anche le generazioni future e contribuì a creare una vera e propria venerazione per la franchigia canadese, ma soprattutto per Vince Carter, anche al di fuori dei confini canadesi. Basti pensare che la prima signature shoe di "Air Canada", la Puma Vinsanity 1, fu il modello più venduto in assoluto dalla Puma, che all'epoca decise di puntare per prima su di lui come brand ambassador. Carter rimarrà con l'azienda di abbigliamento tedesca per due anni per poi passare a Nike, all'apice della sua fama.

Nei sei anni a Toronto Carter è stato il vero e proprio orgoglio della città, portando anche il mondo NBA e tutto ciò ad esso collegato anche in Canada. Per esempio con con la promozione di prodotti sportivi e merchandising della Lega, oltre che all'introduzione di un certo tipo di moda, di visibilità e di sviluppo della vita notturna in una città, già multiculturale di per sé, ma che non ruotava ancora attorno al mondo della pallacanestro e alle iniziative ad esso collegate. Anche i grandi network televisivi americani si interessarono, così, molto di più ai Raptors e anche Vince decise di non deluderli, segnando ben 51 punti nella vittoria sui Phoenix Suns per 103-102 nella prima apparizione televisiva della sua squadra.

Anche Kevin Durant, superstar NBA dei nostri tempi, nata a Washington (a più di 450 miglia da Toronto) attualmente in forza ai Brooklyn Nets, ma anche il canadese Tristan Thompson, attuale giocatore dei Boston Celtics, come viene sottolineato nel documentario, furono influenzati da "Vinsanity", che divenne il loro idolo e si avvicinarono al basket proprio grazie a lui. Anche gli adolescenti vicini alla cultura hip hop della città dell'Ontario presero ispirazione dal numero #15 dei Raptors e iniziarono ad inserire nei loro testi diversi riferimenti al loro luogo di nascita, ora diventato famoso anche negli States proprio grazie a Carter. Tra questi vi fu il famoso rapper Drake, nato proprio a Toronto e ora famosissimo cantante, attore e produttore discografico, che appare diverse volte nel documentario per parlare del suo rapporto con i Raptors. Nel film si alternano anche le voci dei cestisti nati nella nazione della foglia d'acero come Nik Stauskas, Kelly Olynyk, Steve Nash e Cory Joseph, che ci ricordano della grande importanza avuta dal giocatore "floridiano" nel mondo NBA. 

Ad un certo punto, però, come in tutte le favole più belle, il rapporto tra Carter e Toronto cominciò ad incrinarsi. Nel 2001 per esempio "Air Canada" si presentò a Philadelphia giusto in tempo per la gara decisiva della semifinale di conference, che i Raptors presero, contro i padroni di casa dei Sixers, di un solo punto proprio per un suo errore decisivo al tiro. Uno sbaglio che fu fatale per Carter, criticato per lo scarso impegno e il poco attaccamento dimostrato nei confronti della squadra, dopo che nel pomeriggio dello stesso giorno era stato a North Carolina per laurearsi. L’arrivo di una nuova dirigenza poi e l'infortunio al tendine d’Achille peggiorarono le cose il pubblico cominciò a contestarlo sempre di più, tanto che nel 2004 fu scambiato con Alonzo Mourning, passando così ai New Jersey Nets

Il periodo in Canada, però, rimarrà il migliore della carriera per "Vinsanity", che nelle esperienze successive ad Orlando, a Phoenix, a Dallas, a Memphis, a Sacramento e infine ad Atlanta giocherà sempre al di sotto delle proprie possibilità, non brillando mai così tanto come invece avvenne a Toronto. I suoi "vecchi" tifosi lo fischieranno anche, spesso e volentieri, durante i suoi ritorni da avversario, accorgendosi però con il passare degli anni dell'importanza avuta dalla loro ex stella per la crescita dei Raptors, tributandogli così una sacro sanata standing ovation in un match del 2014 quando Vince vestiva la maglia di Memphis e tornò in città nuovamente da rivale. Senza di lui, infatti, bisogna ammetterlo, Toronto e il Canada non sarebbero quel che sono oggi  e probabilmente i Raptors non sarebbero neanche arrivati a vincere un titolo NBA, arrivando all'apice del loro successo.

Una pellicola che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati di pallacanestro, ma anche a coloro che vogliono scoprire di più sul mondo del basket e sulla cultura canadese. Rappresenta, infatti, uno dei migliori documentari sulla palla a spicchi e su uno dei suoi campioni, grazie alla sua accuratezza e al suo descrivere dettagliatamente il rapporto tra Toronto e uno dei suoi indimenticabili campioni.

Bibliografia e sitografia:
- wikipedia.org 
- netflix.com
- The Carter Effect, di Kobe Sean Menard, 2017

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