Toro Scatenato: il pugilato secondo Scorsese

(professionalmoron.com)

C'è un film, che secondo il punto di vista di chi scrive, rappresenta più di altri il mondo del pugilato in tutte le sue sfaccettature, che siano esse sportive o umane. Non sto parlando di Rocky o di Cinderella Man, solo per citarne alcuni, che restano comunque pietre miliari della produzione cinematografica legata alla boxe, ma di Toro Scatenato. Il capolavoro del regista Martin Scorsese, uscito nelle sale nel 1980.

Difficile non aver già sentito nominare Raging Bull, questo il titolo originale, anche per i cinefili più giovani, perché parliamo di una pellicola storica, entrata nella leggenda del cinema e vincitrice di ben due premi Oscar. Il primo per quell'immenso interprete che si chiama Robert De Niro, nominato miglior attore protagonista, il secondo per il sapiente montaggio di Thelma Schoonmaker, storica collaboratrice del regista i cui natali risalgono in Italia, più precisamente a Polizzi Generosa e Ciminna, due comuni della provincia di Palermo. Nel cast troviamo, poi, anche altri due attori di livello mondiale, come Joe Pesci e Cathy Moriarty. Giusto per non farsi mancare nulla. 

Il film narra la vicenda di Jake LaMotta, pugile italo-americano, dal grande talento, ma che ha vissuto un'esistenza complicata a causa della sua indole piuttosto irascibile. LaMotta, scomparso nel 2017, alla veneranda età di 95 anni, balzò all'onore delle cronache dopo aver sconfitto Sugar Ray Robinson, uno dei boxeur più famosi della storia (il quale diventerà poi anche l'acerrimo rivale del protagonista). La sua attività pugilistica, nella categoria dei pesi medi, si svolse essenzialmente negli anni '40 per poi concludersi agli inizi degli anni '50

La pellicola, interamente girata in bianco e nero, è tratta dalla prima autobiografia del pugile di origine italiane, intitolata Raging Bull: My Story. Il film si concentra sulla carriera del boxeur nativo del Bronx, ma soprattutto sui suoi problemi esistenziali e sulla sua rabbia repressa. Una rabbia che il protagonista non riesce a far uscire solo sul ring, ma che esplode anche nella vita di tutti i giorni. Jake infatti, viene descritto come un personaggio spavaldo, aggressivo, una vera e propria testa calda dominata dalla rabbia e dall'ignoranza della società che lo circonda. Infatti, costui non è altro che il prodotto dell'ambiente in cui è vissuto, dominato in quegli anni dalla malavita, da una cultura arretrata e retrograda, nella quale vige ancora una rappresentazione basata sulla sola virilità dell'uomo, visto come padre padrone, al quale tutto è permesso e nella quale la donna deve essere trattata come un semplice oggetto. Lo sport diventa, quindi, per Scorsese il contesto perfetto per far esplodere tutta la violenza e l'indecenza dell'epoca. Una vera e propria condanna sociale di quel tempo, rappresentata dall'indole del protagonista, reso ancora più straordinario dall'interpretazione sublime di De Niro (non è da meno il doppiaggio italiano di Ferruccio Amendola), che riesce a calarsi completamente nel personaggio grazie al suo puntiglioso studio delle caratteristiche psicologiche del pugile italo-americano. 


Jake, il quale rivive nel film la sua storia in prima persona raccontandocela qualche anno dopo il suo ritiro, grazie ad una serie di flashback, si troverà, velocemente, all'apice del successo. Tutto ciò per merito delle sue doti di picchiatore e delle sue "danze" sul ring, accompagnate nella pellicola dalle splendide composizioni musicali tratte da tre opere di Pietro Mascagni (l'intermezzo della Cavalleria Rusticana, l'intermezzo del Guglielmo Ratcliffe e la Barcarola del Silvano), ma soprattutto per la sua capacità di incassare i colpi in maniera estremamente efficace. Il tutto unito alla sua voglia di emergere e a qualche "piccolo aiuto" da parte della mafia, che a quel tempo la faceva da padrone nel mondo della boxe, truccando gli incontri. La malavita, appunto, con la quale il nostro "toro scatenato" è costretto a scendere a compromessi, soprattutto all'inizio, "regalando" anche qualche match. Così, dopo la vittoria su Robinson, riuscirà a competere anche per il titolo di campione del mondo nella sua categoria, ottenuto il 16 giugno del 1949 a Detroit, dopo aver sconfitto il francese Marcel Cerdan al termine di nove round.

"Vincerò io. Non c'è verso che io vada giù. 
Non vado giù con nessuno."

Un straordinaria parabola che, però, diventerà presto discendente, a causa del suo carattere irascibile e del suo essere paranoico, che lo porterà a fare terra bruciata attorno a lui. Vi saranno, infatti, diversi litigi, prima con la moglie, poi con l'amante e infine anche con il fratello, proprio colui che era stato il suo più grande sostenitore, nonché fidato amico e allenatore. La carriera pugilistica del toro del Bronx, questo uno dei soprannomi del pugile, prenderà, così, una bruttissima piega. Ecco, allora, che anche il rivale storico Robinson, battuto all'inizio della sua ascesa, gli porterà via il titolo, diventando sempre di più la bestia nera del boxeur di origine italiane, tanto che non riuscirà mai più a sconfiggerlo. La Motta, si ritroverà, così, ricco e famoso, ma sostanzialmente solo, isolato dal mondo che lo circonda, senza moglie, senza figli e senza fratello. Privato, quindi, di ogni affetto e in preda alle sua rabbia e alla sue frustrazioni. Neanche la gestione di un locale lo aiuterà a vivere serenamente, anzi, questo gli porterà solo altri problemi, visto che finirà addirittura in carcere con l'accusa di sfruttamento della prostituzione. 

Una vita problematica, quella di Jake, fatta di tante speranze, ma anche di altrettante disillusioni, le stesse dei giovani della sua generazione, con in testa il sogno americano, che però alla fine si trasforma, spesso, in un vero e proprio incubo. Colpa della società, di certo, come sottolinea a più ripresa anche Scorsese nella sua pellicola, ma nel caso del pugile è anche demerito suo se la sua vita è diventata così triste e solitaria. Ce lo ricorda bene proprio il protagonista nel suo monologo finale, nel quale ci parla del suo più grande rimpianto: non essere stato in grado di controllare se stesso, cosa che lo ha trasformato in un uomo indisciplinato e rabbioso. 

Insomma un film (del quale vi lascio i magnifici titoli di testa, con l'intermezzo di Cavalleria Rusticana in sottofondo, alla fine dell'articolo) da vedere e rivedere, che ci fa capire quanto nello sport, ma anche nella vita, pure se si sono raggiunte la fama e successo, bisogna saper essere equilibrati, acculturati e mantenere un comportamento adeguato con tutti in ogni situazione, senza prendere a "pesci in faccia" qualcuno solo perché non lo reputiamo alla nostra altezza. La sola popolarità, infatti, non basta a farci essere degli uomini migliori.

Bibliografia e sitografia: 

- Toro Scatenato di Martin Scorsese (1980)
- wikipedia.org
- mymovies.it

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